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Scoperto un tesoro a pompei
July 19th, 2005

Venti pezzi di raffinata argenteria pompeiana, nascosti frettolosamente due millenni fa e ritrovati casualmente durante i lavori per la terza corsia dell'autostrada Napoli-Salerno, raccontano la storia di un'altra fuga disperata dall'eruzione del Vesuvio che sterminò la popolazione di Pompei e di Ercolano nel 79 d.C.

Gli argenti, che nel 2006 saranno oggetto di una mostra al Museo archeologico di Napoli, sono stati presentati oggi in anteprima ad una conferenza stampa dal ministro per i Beni culturali Rocco Buttiglione, dal soprintendente archeologo di Pompei, Pietro Giovanni Guzzo, e dal direttore generale per i beni archeologici, Anna Maria Reggiani.
Quel piccolo tesoro era il vasellame di un prezioso corredo da tavola, decorato con raffigurazioni giocose di scene di banchetto. Il fuggiasco che tentò di portarlo con sè doveva averlo molto a cuore.
«I pezzi erano stati impilati ordinatamente e con grande cura al l'interno della gerla di vimini, dotata di cerniera e chiusura in ferro, in cui li abbiamo trovati», spiega la archeologa Marisa Mastroroberto, che ha diretto lo scavo; «Quel poveretto, per sistemare così la sua argenteria, perse sicuramente tempo prezioso per la propria salvezza personale».
Tanto è vero che a un certo punto dovette abbandonare la sua preziosa gerla per scappare più veloce che poteva.
È questo il motivo per cui oggi l'abbiamo potuta trovare, in un sottoscala (probabilmente una latrina) di una abitazione all'epoca in costruzione in località Moregine, a 600 metri dal limitare dell'abitato dell'antica Pompei: «Era quello un punto di transito obbligato per sfuggire verso il porto, allontanandosi dal vulcano», sottolinea la Mastroroberto; «In quel sottoscala deve aver fatto sosta, cercando riparo provvisorio dalla pioggia di lapilli, un bel gruppetto di fuggiaschi di estrazione sociale molto varia: ne danno testimonianza i numerosi altri oggetti lasciati in quel posto, di natura eterogenea, alcuni dei quali finalizzati alla pura sopravvivenza, come alcune fiasche per acqua o cibi di facile asporto, come le noci».
Il tutto era stato messo al riparo in quel sottoscala, spiega l'archeologa, con l'evidente proposito di tornare a recuperare quegli oggetti. Quel recupero non avvenne più, se non duemila anni dopo.Ma si salvò alla fine, il proprietario di quell'argenteria insieme ai suoi compagni di fuga? «E chi lo sa? Poche centinaia di metri più avanti - risponde la Mastroroberto - abbiamo trovato gli scheletri di un gruppo di persone senza alcun bagaglio; ma non abbiamo alcuna certezza che fra quei disgraziati si trovasse l'uomo degli argenti. Sappiamo solo che, nel secondo giorno dell'eruzione, una nube piroclastica, una massa infuocata, precipitò dal Vesuvio e si avventò a valle, sterminando chiunque, compresi quelli che avevano buttato via ogni peso per correre di più».

Emergono anche dati antropologici dalla «lettura» che gli archeologi hanno fatto del contenuto di quella gerla: il vasellame, in argento massiccio, apparteneva a una famiglia che esibiva la propria ricchezza (quel corredo da tavola era stato chiaramente molto usato). E la cura con cui fu sistemato, nonostante il pericolo incombente, per essere portato via, denota, secondo la Mastroroberto, un particolare attaccamento ad una sorta di status symbol identificativo di un ceto di neo-ricchi. Di sicuro, aggiunge l'archeologa, non si tratta stavolta di materiale trafugato per un atto di sciacallaggio, di cui pure fra le rovine di Pompei non mancano esempi.

Comunicato Stampa della Soprintendenza di Pompei

Lunedì 18 luglio viene presentato , per la prima volta, il "Tesoro di Moregine", l’eccezionale ritrovamento avvenuto grazie ad un microscavo all’interno di una gerla di vimini abbandonata da un fuggiasco nel corso dell’ eruzione del Vesuvio del 79 d. C.. I reperti, provenienti dallo scavo del complesso archeologico di Moregine presso Pompei, effettuato nel corso dei lavori per la realizzazione della terza corsia autostradale nel tratto Napoli-Salerno, sono mostrati in anteprima alla stampa dal ministro per i Beni e le attività culturali, Rocco Buttiglione, dal Soprintendente Archeologo di Pompei, Pietro Giovanni Guzzo e dal Direttore generale per i beni archeologici, Anna Maria Reggiani, presso il complesso dell’ex chiesa di Santa Marta in Piazza del Collegio Romano, a Roma.

Gli Argenti
I 20 pezzi d’argenteria, costituenti un nucleo completo di vasellame da tavola appartenuto ad un fuggiasco, sono emersi da una gerla in vimini ritrovata tra i reperti recuperati nel complesso dei triclini di Moregine (Pompei) nel corso del lavori per la III corsia autostradale della Napoli-Salerno (2000)

Il ‘piccolo tesoro di Moregine’ pesa 4 kg e comprende una serie di pezzi sia di argentum escarium che di argentium potorium ; un piatto grande e 4 piatti piccoli, 4 tazze e 4 tazze piccole, 4 mensulae, 2 kantharoi con decorazione a rilievo, un cucchiaino.

Erano tre quarti di secolo che a Pompei non veniva messo in luce un servizio di argenterie costituente un ‘contesto chiuso’, che consentisse di arricchire ulteriormente il campo di conoscenze in un settore dell’archeologia pompeina, quello delle argenterie, fondamentale per la varietà e la qualità delle informazioni che può fornire sull’arte, l’artigianato, l’economia, la vita quotidiana, gli scambi, la formazione e l’accumulazione della ricchezza.
La gerla, con coperchio e piccola cerniera, in materiale organico eccezionalmente conservatosi, è stata quindi oggetto di un delicato intervento di microscavo che ha liberato gli oggetti dai detriti vulcanici, restituendoli quasi intatti.
L’intervento, appena concluso, è stato documentato nelle sue varie fasi dalla Soprintendenza di Pompei grazie alla collaborazione di Rai Educational che ne trarrà un documentario esclusivo.
Rispetto al così detto ‘tesoro di Boscoreale’ e a quello del ‘Menandro’ (rinvenuti in contesto domestico), in questo caso gli archeologi si sono trovati in presenza di oggetti ordinatamente impilati, con grande ottimizzazione degli spazi, da un fuggitivo. Gli argenti, presumibilmente avvolti come d’uso in panno di lana o tela, furono infatti riposti nella gerla, poi abbandonata in un riparo di fortuna .
Il ritrovamento è avvenuto in un sottoscala destinato a latrina, ultimo e più riparato di vari ambienti ricavati nell’ala di passaggio tra l’originario nucleo edilizio neroniano e l’annesso edificio termale dell’ultima fase, il cui impianto era in attesa di lavori di completamento al momento dell’eruzione.
Proprio le condizioni dell’edificio-cantiere, privo di infissi, con aperture sulla strada che collegava la città con il porto (verso cui nelle ore della catastrofe gli abitanti fuggivano) giustificano la presenza nel sottoscala di oggetti occasionali, abbandonati dai fuggiaschi che, lì penetrati per cercare riparo, hanno poi intrapreso disperati ulteriori piccoli spostamenti, prima che i violenti flussi piroclastici invadessero l’area.

Il ritrovamento del sito di moregine
Durante il 2000, nel corso del lavori per la realizzazione della terza corsia dell’autostrada A3, nel tratto tra Castellammare di Stabia e Scafati, è venuto alla luce in località Moregine, a sud di Pompei, un complesso architettonico composto da due settori: il portico dei triclini e il settore termale, quest’ ultima è proprio la zona interessata dal ritrovamento del tesoro di argenteria.
L’area era già stata esplorata nel 1959 ed era nota per la restituzione di 125 tavolette cerate relative all’attività commerciale della famiglia dei Sulpicii.
L’esplorazione ha consentito di riportare alla luce il settore nord dell’edificio e successivamente di distaccare e di restaurare gli splendidi affreschi che decoravano gli ambienti rinvenuti.
La preziosità del sito di Moregine ha acquisito valore maggiore quando a circa 100 metri a ovest dal complesso dei triclini, sempre sulla riva destra del fiume Sarno, è stato trovato un secondo caseggiato, in cui erano attive diverse cauponae. In un piccolo vano di una di queste sono stati scoperti degli scheletri di due donne adulte e di tre giovanissimi, tra cui una bambina di quattordici anni e una di quattro. Una delle donne portava con sé nella fuga disperata dei monili in oro; tra questi di particolare interesse risulta un’armilla che per l’iscrizione che riporta, rimanda ai rapporti tra padroni e schiave nell’ambito della prostituzione nel mondo romano.

Gli altri "tesori" di Pompei ed Ercolano
Ritrovamenti isolati di argenterie, rinvenute presso i corpi delle vittime dell’eruzione, o in contesti domestici tra le suppellettili delle case più abbienti, sono annotati nella storia degli scavi sia di Pompei che di Ercolano: si tratta quasi sempre di interessanti e pregiati esemplari di vasellame per bere (argentum potorium) e di vasellame per mangiare (argentum escarium), di oggetti legati alle abitudini quotidiane più raffinate, come specchi o utensili da toilette, o ancora di oggetti legati al mondo religioso, come vasellame con scene sacre o statuette di divinità per il culto domestico, appartenenti a quella produzione di argenteria pompeiana che si colloca cronologicamente tra l’età di Silla e il 79 d.C.
Più rari ed eccezionali sono i ritrovamenti di servizi completi di vasellame da tavola, che per la ricchezza, la raffinatezza della decorazione e la varietà nella composizione dell’intero complesso di argenterie vengono definiti tesori.
Tra questi è celebre il "tesoro di Boscoreale", rinvenuto nel 1895 nella cisterna per il vino della grande villa rustica detta "della Pisanella", con i suoi 109 pezzi di argenteria e oreficeria, portato clandestinamente in Francia subito dopo la scoperta e acquistato dal Barone Edmond de Rothschild che lo cedette al Louvre, trattenendo per sé alcuni pezzi. Le argenterie compongono il servizio da tavola (ministerium) in uso al momento dell’eruzione, che conta eccezionali pezzi di vasellame d’apparato e recipienti per cibo e bevande, e comprendono anche tre specchi che, con i gioielli, erano il patrimonio della padrona di casa.
Del 1930 è il clamoroso rinvenimento, nell’ambiente sotterraneo di una sontuosa abitazione pompeiana, la Casa del Menandro, del complesso di argenterie detto appunto "tesoro della Casa del Menandro". Le argenterie, ben 118 pezzi, erano avvolte in panni di lana e di tela, e riposte sul fondo di una cassa di legno rinforzata da cerniere bronzee. Esposte oggi al Museo Nazionale di Napoli, costituivano il servizio da tavola del proprietario, con pezzi raccolti nel corso degli anni (l’argentum vetus, ovvero la vecchia argenteria di famiglia), che documentano la migliore produzione orafa della prima età imperiale e in parte della tarda età repubblicana, con esemplari che si fanno risalire alla metà del I secolo a.C.

L'intervento di restauro
L’intervento di restauro prevedeva in primo luogo il recupero e i trattamenti conservativi di una gerla in fibra vegetale rinvenuta nel 2000 dagli scavi di Moregine. Si supponeva che la gerla contenesse qualche oggetto da mensa, come testimoniava il grande piatto visibile in superficie, ma forse nessuno poteva immaginare che avrebbe dato alla luce un insieme così ricco di preziosi e raffinati oggetti in argento.
Il pane di terra pervenuto ai restauratori si presentava racchiuso in una controforma realizzata in gesso e poliuretano espanso, effettuata direttamente sullo scavo per eseguire il prelievo.
Sulla sommità affioravano intrecci di fibra vegetale, ormai disidratati, che costituivano la rifinitura dell’orlo della gerla. All’interno di esse sulla sommità era visibile in fondo un grande piatto di metallo ricoperto da abbondanti e voluminose concrezioni che come un coperchio, coprivano l’intera superficie del pane di terra. In un contenitore a parte è stato consegnato ai restauratori un insieme di fibre vegetali che avevano perso l’intreccio originale e un piccolo pomello di ferro completamente rimineralizzato che costituivano il coperchio e la chiusura della gerla.
Per tentare di individuare il contenuto e la sua collocazione nel pane di terra sono state effettuate indagini radiografiche che hanno lasciato intravedere le immagini di numerosi oggetti metallici molto serrati e sovrapposti tra loro.
La prima fase del microscavo è consistita nel distacco del piatto grande che seppur in superficie era fortemente aderente al substrato ed aveva un ansa e parte del bordo completamente inglobate nella terra. Il suo distacco è avvenuto effettuando dei tagli orizzontali avendo cura di non incidere sulla fibre vegetali della gerla.
Una volta distaccato, si è potuto notare che il piatto, estremamente corroso e ricoperto di concrezioni, conservava una preziosa decorazione a rilievo sul bordo. Solo a questo punto è iniziato il vero e proprio microscavo. Il pane di terra è risultato composto da strati più o meno compatti di cinerite mista a sporadiche particelle di pomice. Lo scavo è avvenuto per strati orizzontali ed è stato eseguito meccanicamente con piccole spatole, bisturi e specilli e con ripetute nebulizzazioni d’acqua al fine di mantenere una situazione umida indispensabile per la conservazione della gerla e per ammorbidire la cinerite più compatta.
Nella parte centrale del pane di terra è poi affiorata la parte superiore dell’ansa di un kantharos di metallo, inglobata in spesse concrezioni. Accanto ad essa si intravedevano i bordi di 4 piatti disposti di taglio verticalmente l’uno dentro l’altro. Il kantharos era inserito in un altro kantharos identico al primo. Proseguendo la rimozione degli strati di cinerite si cominciava a vedere lateralmente delle piccole mensulae anch’esse di metallo aggrovigliato tra di loro. Sono quindi emerse sul lato opposto delle piccole tazze metalliche biansate disposte ordinatamente una dentro l’altra in verticale. Più in basso nella parte circolare del fondo della gerla, altre 4 tazze metalliche biansate di dimensioni maggiori delle altre, erano posizionate orizzontalmente l’una dentro l’altra. L’ultimo oggetto a venire in luce è stato un cucchiaino dal lungo manico, sempre in metallo, che era adagiato sul fondo della gerla. Tutti gli oggetti, in totale 20, sono risultati essere realizzati in argento, di ottima fattura e di peso molto consistente. Gli oggetti sono stati poi puliti meccanicamente e con riduzioni elettrochimiche, le superfici lacunose e fessurate sono state integrate con resine epossidiche e laddove si è reso necessario sono stati effettuati dei rinforzi con applicazioni di velatino di seta ed infine sono stati protetti con resina nitrocellulosica.
La gerla in fibra vegetale è stata pulita per consentire l’inserimento di una forma di sostegno interna realizzata in materiale plastico che la sorreggesse durante l’immersione nelle soluzioni impregnanti. Questi trattamenti proseguiranno per 12 mesi per poter infine sistemare la gerla su un supporto espositivo.

 

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